Cosa sono i Mutui Sub-prime?
I mutui sub-prime sono prestiti ipotecari concessi a mutuatari con punteggi di credito inferiori alla media, spesso sotto i 600 punti. In America, il punteggio di credito è una misura che valuta la capacità di un individuo di rimborsare i prestiti. Questo punteggio, che varia da 300 a 850, è calcolato da agenzie di credito come Experian, Equifax e TransUnion basandosi su diversi fattori, tra cui la storia dei pagamenti, il debito totale, la lunghezza della storia di credito, i tipi di credito utilizzati e le nuove richieste di credito. Un punteggio alto indica una storia di pagamenti tempestivi e una gestione responsabile del debito, tutti fattori che rendono il mutuatario più attraente all’occhio dei prestatori. Al contrario, un punteggio basso riflette potenziali rischi, come ritardi nei pagamenti o fallimenti, rendendo il mutuatario meno desiderabile. In questi casi, i mutui sub-prime offrono una possibilità di accesso al credito, ma a condizioni più onerose
Perché se ne parla e perché dovremmo conoscerli?
La conoscenza dei mutui sub-prime è essenziale per comprendere le dinamiche che hanno portato alla crisi finanziaria del 2008. Rappresentano un classico esempio di come pratiche di prestito rischiose possano avere ripercussioni estese sull’economia globale. Un’analisi attenta di questi mutui offre spunti preziosi per la prevenzione di future crisi finanziarie. Come disse Sant’Agostino “Errare è umano, Perseverare è diabolico”. Sebbene i mutui sub-prime siano stati un fattore significativo, non furono l’unico responsabile della crisi del 2008. La crisi fu il risultato di una combinazione di fattori, tra cui la bolla immobiliare, pratiche bancarie inadeguate, debolezze regolamentari, le politiche monetarie della FED e una complessa rete di strumenti finanziari derivati che amplificarono il rischio.
Attualmente, come in passato, la responsabilità della crisi finanziaria viene attribuita agli errori commessi dalla Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti, accusata di aver incrementato i tassi di interesse troppo rapidamente e in misura eccessiva. Osservando la curva dei tassi di politica monetaria americani, si scorgono due andamenti simili: tra la primavera del 2004 e l’estate del 2007, la FED incrementò i tassi dal 2% al 6,25%. Negli ultimi 18 mesi circa, da marzo 2022 a novembre 2023, i tassi sono saliti dallo 0,25% al 5,50%. In effetti, l’aumento dei tassi di interesse osservato nell’ultimo anno e mezzo sembra essere stato più brusco di quello che ha preceduto e contribuito alla crisi dei mutui sub-prime. Esiste, però, un elemento che differenzia significativamente la situazione attuale da quella del 2007, ovvero il diverso impatto dei tassi reali, cioè i tassi di politica monetaria al netto dall’inflazione. Possiamo osservare come nel periodo 2006/2007 i tassi reali rimasero positivi, raggiungendo talvolta valori oltre il 4%. Al contrario, nell’ultimo anno, i tassi reali sono stati costantemente negativi, sebbene in aumento dal marzo del 2022. È risaputo che tassi reali positivi tendono a gravare sui debitori, confrontati con un costo del denaro superiore all’inflazione. Fu questa la situazione nel 2007, che portò molte famiglie americane all’incapacità di onorare i propri mutui. Invece, tassi reali negativi risultano svantaggiosi per i creditori, i quali ricevono rendimenti inferiori all’aumento del costo della vita; ciò comporta anche un deprezzamento del capitale prestato. Questa è la realtà attuale.
Gli strumenti derivati e il fallimento di Lehman Brothers
La cartolarizzazione dei mutui sub-prime e la creazione di strumenti derivati basati su questi mutui giocarono un ruolo fondamentale nell’ingigantire la crisi finanziaria del 2008. In sostanza, le banche raggruppavano i mutui sub-prime in pacchetti, trasformandoli in titoli negoziabili, noti come titoli ipotecari garantiti (MBS). Questi titoli venivano poi ulteriormente combinati e strutturati in prodotti più complessi, come i Collateralized Debt Obligations (CDO). Il valore di questi strumenti derivati era direttamente collegato alla performance dei mutui sub-prime sottostanti. Quando i tassi di inadempienza sui mutui sub-prime aumentarono a causa del declino del mercato immobiliare e della recessione economica, il valore di questi titoli e derivati crollò. Questo crollo non solo comportò perdite massicce per le banche e gli investitori che detenevano questi titoli, ma, dato che questi prodotti erano stati venduti e distribuiti a livello globale, provocò una diffusa incertezza e sfiducia nel mercato finanziario. Inoltre, la complessità e la mancanza di trasparenza di questi strumenti finanziari complicarono ulteriormente la situazione, rendendo difficile per gli investitori e i regolatori valutare l’entità del rischio e delle perdite. In questo modo, la cartolarizzazione e i derivati non solo amplificarono il danno causato dal crollo dei mutui sub-prime, ma divennero anche un canale attraverso il quale la crisi si diffuse rapidamente in tutto il sistema finanziario globale.
La discrepanza tra mutui sub-prime e CDO
Prima della crisi finanziaria del 2008, il mercato dei mutui sub-prime negli Stati Uniti aveva raggiunto un valore considerevole, riflettendo l’enorme quantità di prestiti erogati a mutuatari con un punteggio di credito inferiore alla media. Sebbene le cifre esatte possano variare a seconda delle fonti e dei metodi di calcolo, è ampiamente riconosciuto che il valore complessivo del mercato dei mutui sub-prime era nell’ordine di svariati centinaia di miliardi di dollari. Per dare un’idea più concreta, si stima che il valore totale dei mutui sub-prime erogati fosse di circa 1,3 trilioni di dollari alla fine del 2006. Questo rappresentava una porzione significativa del mercato immobiliare degli Stati Uniti in quel periodo, indicando come i mutui sub-prime fossero diventati un elemento centrale del sistema di credito immobiliare. Allo stesso tempo, c’era già qualcosa che non quadrava. Il mercato dei Collateralized Debt Obligations (CDO), infatti, aveva raggiunto valori quasi doppi rispetto a quello dei mutui (che ne costituivano il sottostante). Sebbene sia difficile fornire una cifra esatta, diverse stime suggeriscono che il valore totale del mercato dei CDO fosse nell’ordine di svariati trilioni di dollari. Per esempio, secondo alcune fonti, il mercato dei CDO aveva raggiunto un picco di circa 2 trilioni di dollari intorno al 2006-2007, un aumento significativo rispetto ai primi anni 2000, quando il mercato dei CDO era ancora in una fase relativamente nascente. La rapida crescita del mercato dei CDO fu alimentata dall’ampia emissione di mutui sub-prime e dalla successiva cartolarizzazione di questi debiti in prodotti finanziari complessi. Questi strumenti erano molto richiesti dagli investitori per via dei loro alti rendimenti e per via della tanto acclamata solidità del settore immobiliare, che in ultima istanza si rivelò essere tutto fuorché solido. nonostante i rischi sottostanti non fossero pienamente compresi o valutati correttamente. Questa crescita eccessiva del mercato dei CDO, si tradusse in un crollo a catena estremamente ingigantito di tutta “l’impalcatura” finanziaria che c’era dietro.
La domanda cruciale è: abbiamo costruito un sistema finanziario più resiliente? O siamo ancora vulnerabili a una crisi simile a quella del 2007-2008? La risposta dipende non solo dalla stabilità del mercato immobiliare, ma anche dalla capacità del sistema finanziario di gestire rischi complessi e dall’efficacia della vigilanza regolamentare. La storia ci ha insegnato che l’ottimismo eccessivo e la dimenticanza possono essere i nostri peggiori nemici.
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