Come i conflitti del passato in Medio Oriente, lo scontro tra Israele e Hamas scoppiato la scorsa settimana potrebbe avere ripercussioni sull’economia mondiale e persino farla precipitare in una recessione, nel momento in cui altri paesi venissero coinvolti. Il rischio è sempre più concreto, vista anche l’invasione di Gaza da parte dell’esercito israeliano in risposta a un attacco del gruppo militante di Hamas. Il bilancio delle vittime dell’assalto di Hamas e dei continui bombardamenti aerei israeliani su Gaza ha già raggiunto le migliaia di vittime e si teme che le milizie in Libano e Siria, che sostengono Hamas, entrino nel vivo del conflitto. Un’escalation più marcata potrebbe trascinare Israele in un conflitto diretto con l’Iran, fornitore di armi e denaro a Hamas, che è stato designato come gruppo terroristico dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. 

I conflitti in Medio Oriente hanno la capacità di scuotere l’intero globo, perché la regione rappresenta un fornitore fondamentale di energia, oltre che un’area di transito chiave per il trasporto e le spedizioni globali. La guerra arabo-israeliana del 1973, che portò a un embargo petrolifero e anni di stagflazione nelle economie industriali, ne è un chiaro esempio. Altri conflitti hanno avuto un impatto più limitato, anche quando il bilancio umano era elevato.

L’economia mondiale di oggi appare vulnerabile. Sta ancora recuperando da un’ondata di inflazione esasperata dall’invasione russa dell’Ucraina lo scorso anno. Un’altra guerra in una regione produttrice di energia potrebbe spingere nuovamente l’inflazione verso l’alto. Le conseguenze più ampie potrebbero estendersi dal rinnovato disordine nel mondo arabo alle elezioni presidenziali del prossimo anno negli Stati Uniti, dove i prezzi della benzina sono fondamentali per il sentiment degli elettori.

Tutti questi effetti potenziali dipendono da come si svilupperà la guerra nelle prossime settimane o mesi. Bloomberg Economics ha esaminato l’impatto probabile sulla crescita globale e sull’inflazione riassumendone anche i potenziali output in tre scenari.

Ovviamente, la gamma effettiva di rischi e possibilità è più ampia e complessa di quanto questi scenari possano catturare. Anche le catene economiche ristrette di causa-effetto si sono rivelate difficili da prevedere di fronte alla volatilità degli ultimi anni, e le guerre sono ancora più difficili da prevedere. In ogni caso, gli scenari che ha delineato Bloomberg e che riportiamo qui di seguito, dovrebbero almeno contribuire a inquadrare il pensiero sui percorsi potenziali futuri.

Scenario 1: Conflitto Confinato a Gaza

Nel 2014, il rapimento e l’omicidio di tre i

s furono il grilletto per un’invasione terrestre di Gaza che lasciò più di 2.000 morti. Gli scontri non si estesero oltre il territorio palestinese e il loro impatto sui prezzi del petrolio e sull’economia globale fu limitato.

Il bilancio delle vittime della scorsa settimana è già più elevato. Tuttavia, una possibile traiettoria per l’attuale conflitto sarebbe essenzialmente un replay di quella tragica storia, combinato con un rafforzamento delle sanzioni statunitensi sul petrolio iraniano.

Teheran ha aumentato la sua produzione petrolifera di 700.000 barili al giorno quest’anno, mentre scambi di prigionieri e sblocco di attività indicavano un disgelo nelle relazioni con gli Stati Uniti. Se quei barili scomparissero sotto la pressione degli Stati Uniti, Bloomberg Economics stima un aumento dei prezzi del petrolio di $3 a $4.

L’impatto sull’economia globale sotto questo scenario sarebbe minimo, specialmente se l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti compensassero i barili iraniani persi usando la loro capacità di riserva. 

Se il conflitto dovesse diffondersi in Libano e Siria, dove l’Iran sostiene anch’esso gruppi armati, si trasformerebbe effettivamente in una guerra per procura tra Iran e Israele — e il costo economico aumenterebbe. Un’escalation su queste linee aumenterebbe la probabilità di un conflitto diretto tra Israele e Iran, con probabile innalzamento dei prezzi del petrolio. Nella breve ma sanguinosa guerra Israele-Hezbollah del 2006, il greggio era salito di 5 dollari al barile. Oltre allo shock dello scenario di guerra limitata, un aumento equivalente oggi porterebbe il prezzo a circa il 10% in più, intorno ai 94 dollari. Le tensioni potrebbero anche aumentare nell’intera regione. Egitto, Libano e Tunisia sono tutti invischiati in stagnazione economica e politica. La risposta di Israele all’attacco di Hamas ha già scatenato proteste in diversi paesi della regione, dove la distanza tra marce anti-Israele e disordini anti-governativi è breve. Una ripetizione della Primavera Araba (una ondata di proteste e ribellioni che rovesciò governi nei primi anni 2010) non è impensabile. L’impatto economico globale in questo scenario deriva da due shock: un salto del 10% nei prezzi del petrolio, e un movimento di avversione al rischio sui mercati finanziari in linea con quanto accaduto durante la Primavera Araba. Questo scenario, secondo le stime di Bloomberg, si tradurrebbe in un aumento di otto punti nell’indice VIX. L’indice VIX, noto anche come “indice della paura” o “indice di volatilità”, per chi non lo sapesse, è un indice creato dalla Chicago Board Options Exchange (CBOE). Serve principalmente per misurare l’aspettativa del mercato riguardo la volatilità, e quindi la rischiosità, dei prezzi delle azioni negli Stati Uniti nel breve termine. La somma di questi fattori comporterebbe una diminuzione dello 0,3% sulle stime di crescita globale per l’anno prossimo (circa 300 miliardi di dollari di produzione persa) portandola ad un misero 2,4%. Ad esclusione della crisi Covid del 2020 e della recessione mondiale del 2009, sarebbe la crescita più debole in tre decenni. Prezzi più alti del petrolio aggiungerebbero circa lo 0,2% all’inflazione globale, mantenendola vicino al 6%, e sostenendo la pressione sui banchieri centrali di mantenere una politica monetaria restrittiva anche se la crescita delude. Scenario 3: Guerra Iran – Israele Un conflitto diretto tra Iran e Israele è uno scenario a bassa probabilità, ma estremamente pericoloso, e per questo non trascurabile. Potrebbe essere, infatti, il catalizzatore di una recessione globale. Prezzi del petrolio alle stelle e crollo degli asset a rischio infliggerebbero un duro colpo alla crescita economica e porterebbero l’inflazione ancora più in alto. “Nessuno nella regione, nemmeno l’Iran, vuole vedere il conflitto Hamas-Israele escalare in una guerra regionale totale,” ha affermato Hasan Alhasan, ricercatore presso l’Istituto Internazionale per gli Studi Strategici. Ciò non significa che non possa accadere, e ha proseguito: “La possibilità di un errore di calcolo è grande”. Israele da tempo considera le ambizioni nucleari dell’Iran come una minaccia esistenziale. Le mosse di Teheran per costruire un’alleanza militare con la Russia, ripristinare i legami diplomatici con l’Arabia Saudita e migliorare le relazioni con gli Stati Uniti hanno aumentato l’inquietudine. Israele e gli Stati Uniti hanno inviato messaggi contrastanti sulla complicità dell’Iran nell’attacco di Hamas. “C’è qualche evidenza che potrebbero averne saputo,” ha detto il 9 ottobre Ron Dermer, ministro israeliano per gli Affari Strategici. Funzionari statunitensi sostengono di avere prove che i leader iraniani siano stati colti di sorpresa, ha riportato il New York Times l’11 ottobre, sebbene li abbiano descritti come complici in senso più ampio perché finanziano e armano Hamas. Gli Stati Uniti sono stretti alleati di Israele, mentre Cina e Russia hanno stretto legami con l’Iran. Funzionari occidentali esprimono preoccupazione che Cina e Russia possano sfruttare il conflitto per deviare attenzioni e risorse militari da altre parti del mondo. Con circa un quinto dell’approvvigionamento mondiale di petrolio proveniente dalla regione del Golfo, i prezzi salirebbero alle stelle. Un ripetersi del colpo alle strutture Aramco da parte di militanti pro-iraniani nel 2019, che tolse quasi la metà della fornitura di petrolio saudita, non è fuori discussione. Il prezzo del greggio potrebbe non quadruplicare, come fece nel 1973 quando gli stati arabi imposero un embargo in risposta al supporto degli USA per Israele nella guerra di quell’anno. Ma se Israele e l’Iran iniziassero a a scambiarsi missili, i prezzi del petrolio potrebbero aumentare in linea con quanto accaduto dopo l’invasione irachena del Kuwait nel 1990. Con un punto di partenza oggi molto più alto, un picco di questa portata potrebbe portare il petrolio in zona 150$ al barile. La capacità produttiva di riserva in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti potrebbe non salvare la situazione se l’Iran decidesse di chiudere lo Stretto di Hormuz, attraverso il quale passa un quinto delle forniture giornaliere di petrolio mondiali. Ci sarebbe anche un cambiamento più estremo verso l’avversione al rischio nei mercati finanziari, forse paragonabile al picco di 16 punti nel VIX nel 1990. Nonostante questi scenari catastrofici, le probabilità tendono ancora verso un conflitto relativamente contenuto, con un alto costo in termini di sofferenza umana ma con impatto economico e di mercato abbastanza limitato. Una cosa è certa: le speranze di un Medio Oriente più stabile sono infrante. Negli ultimi anni, l’avvicinamento tra Arabia Saudita e Iran, e i trattati di pace tra Israele e diversi stati arabi, avevano sollevato aspettative sulla fine di decenni di conflitti all’interno della regione. Invece, ci ritroviamo di fronte ad una nuova esplosione di violenza. L’invasione russa dell’Ucraina, la guerra commerciale USA-Cina e le crescenti tensioni su Taiwan mostrano che la geopolitica è tornata a essere un motore degli esiti economici e di mercato e, in Medio Oriente, non è mai davvero scomparsa.