Da quando è iniziata la decade degli anni ’80, la Cina è diventata una nazione capitalista a tutti gli effetti, anche se molti analisti e storici sembrano non accorgersene. Grandi aziende statunitensi, dall’industria farmaceutica alla tecnologia e alle banche, sono profondamente radicate nel mercato cinese. La Cina, inoltre, ha “alleati” fedeli negli Stati Uniti sia nel mondo degli affari che in ambito accademico e medico, molti dei quali sono inclini a posizioni pro-americane.
I legami tra istituzioni accademiche cinesi e università dell’Ivy League negli USA risalgono anch’essi agli anni ’80. Ad esempio, la Scuola di Management dell’Università Fudan di Shanghai ha un programma MBA congiunto con il MIT. Inoltre, Stanford ha una sede in Cina e un accordo con l’Università di Pechino.
Non c’è da sorprendersi se all’interno del Partito Comunista Cinese (PCC) esistono profonde divisioni. Anche se la Cina attualmente svolge un ruolo geopolitico equilibrante e positivo, non è una nazione “socialista”.
È cruciale che chi considera la Cina un paese socialista tenga conto della natura oppressiva della sua economia basata su manodopera a basso costo, istituita a fine anni ’70 all’inizio dell’era post-Mao, in collaborazione con i partner commerciali e d’investimento statunitensi.
Circa 292 milioni di lavoratori migranti interni sono impiegati in settori come l’economia di esportazione a basso costo, la costruzione e i progetti infrastrutturali, così come nell’economia dei servizi urbani.
Il salario medio mensile dei lavoratori migranti stagionali nel 2021, secondo statistiche ufficiali (spesso poco affidabili e gonfiate), era di 4.432 RMB (equivalente a 685 dollari USA). La settimana lavorativa ufficiale senza straordinari è di 44 ore; con gli straordinari può arrivare a 11-12 ore al giorno, sei giorni alla settimana.
In numerosi mega impianti industriali cinesi e linee di montaggio ad alta tecnologia prevale la cosiddetta “Cultura del lavoro 996”, cioè lavorare dalle 9 alle 21, sei giorni alla settimana, spesso senza straordinari pagati.
A basso salario, la provincia di Liaoning ha un livello di salario minimo (1.420 RMB/224 dollari USA al mese) leggermente superiore a quello di Anhui (1.340 RMB/212 dollari USA al mese).
Ciò ha portato a una crescente disuguaglianza sociale e economica, sottolineando il bisogno di rivedere la classificazione spesso attribuita al paese come “socialista”.