Nell’articolo di oggi cercheremo di affrontare una faccenda di una certa rilevanza e di rispondere al seguente quesito: chi è effettivamente al comando in Russia?
Molti risponderanno senza esitazione “Putin,” e in un certo senso hanno ragione. Ma l’obiettivo qui è comprendere chi detiene veramente le redini del potere.
È innegabile che il Presidente russo Vladimir Putin eserciti un’autorità considerevole. I media tradizionali, però, sembrano ridurre la complessità della struttura del potere in Russia, attribuendo ogni elemento del sistema di governo esclusivamente a lui. Ecco perché merita un’analisi più approfondita.
Iniziamo col dire che, la Russia è guidata da un regime che presenta chiare caratteristiche autoritarie, no? Ça va sans dire!
Ma questo non elimina la possibilità che esistano altre sfere di potere in grado di influenzare decisioni di rilievo, sia politiche che militari. Come termine di paragone, si può citare che anche nel Terzo Reich, regime totalitario per antonomasia, tali centri di potere erano presenti.
Un’ulteriore precisazione è doverosa: riconoscere l’esistenza di altri centri di potere non significa fornire giustificazioni o attenuare le decisioni prese dall’alto. Serve piuttosto a evidenziare che anche un potere autocratico può incontrare ostacoli e limiti, anche se questo sembra in contrasto con le percezioni generali. In questo contesto:
In altre parole, un uomo poco interessato alle opinioni degli altri. Una delle sue prime azioni politiche di rilievo fu di convocare al Cremlino gli “oligarchi,” in gran parte ex funzionari che si erano arricchiti attraverso le privatizzazioni selvagge degli anni ’90. In quel frangente, Putin fissò regole chiare: loro dovevano evitare qualsiasi coinvolgimento in politica, e in cambio avrebbero potuto conservare le loro immense fortune. L’approccio rigido di Putin si manifestò chiaramente anche in questioni di politica estera, come si può osservare dagli eventi in Cecenia, Georgia e Ucraina, dove criticò duramente la cosiddetta “rivoluzione arancione” nel 2014.
Se esiste un ambito in cui Vladimir Putin ha investito una quantità considerevole di energie, è certamente la posizione della Russia nel contesto internazionale. Ha operato con l’intento chiaro di riportare la Russia al rango di superpotenza che aveva perduto negli anni ’90. Durante i suoi oltre vent’anni di mandato, sono numerose le misure e le iniziative che hanno contribuito a questo obiettivo. Ad esempio, la rinvigorita economia russa, con un focus particolare sul settore energetico, oppure la relazione ambivalente con la Cina e la rinnovata collaborazione con ex membri dell’Unione Sovietica, come il Kazakistan.
Ma è imprudente pensare che un singolo individuo, per quanto abile e perspicace, possa sostenere interamente il fardello del potere in un paese tanto complesso e problematico.
Coloro che hanno accolto la nuova direzione politica imposta da Putin hanno visto confermati i loro status e patrimoni. Al contrario, chi si è rifiutato di conformarsi ha affrontato severe conseguenze. È il caso di Boris Berezovsky e Mikhail Khodorkovsky, potenti figure nei settori televisivo e delle materie prime rispettivamente. Entrambi hanno dovuto confrontarsi con indagini, processi, confische di beni e infine esilio. Berezovsky è stato ucciso a Londra nel 2013, dove Khodorkovsky risiede ancora, dopo aver trascorso un considerevole lasso di tempo in prigione in Russia.
Da questa posizione di esilio a Londra, Khodorkovsky ha mantenuto una critica costante nei confronti di Putin, inasprita ulteriormente dopo l’imposizione delle sanzioni alla Russia in seguito all’annessione dell’Ucraina. E se Putin mostra zero tolleranza nei confronti di ex alleati che osano metterlo in discussione, immaginiamoci quale possa essere il suo atteggiamento nei confronti di giornalisti che persistono nel denunciare i lati oscuri della sua gestione.
In pratica, Putin ha “fatto fuori” – non necessariamente in senso letterale – le voci dissonanti, trasferendo beni e potere in mani fidate; il suo potere, consolidatosi specie dal 2014 in poi, è stato in qualche modo suffragato dal referendum costituzionale del 2020, che ha approvato a grande maggioranza l’ampliamento dei poteri presidenziali (abolendo il tetto dei mandati) e dato luce verde al divieto dei matrimoni omosessuali. Commentando gli esiti
della consultazione, Aldo Giannuli scrisse: “non sapremo mai il risultato reale. Possiamo però presumere che una parte molto consistente di elettori abbia votato per lui, chi perché vede in lui chi ha riportato la Russia fra i grandi del mondo, chi perché non vede successori credibili ed ha paura del vuoto, chi perché convinto della perfetta inutilità di un voto contrario non ha avuto alternativa.”
Quel che è certo è che coloro che sono scesi a patti con Putin hanno fatto fortuna, anche nel nostro paese. Un libro inchiesta firmato dai giornalisti Jacopo Iacoboni e Gianluca Paolucci, intitolato “Oligarchi: come gli amici di Putin stanno comprando l’Italia”, denunciava apertamente lo “shopping” dei ricconi
dell’est, come Konstantin Malofeev (operante nel settore delle telecomunicazioni, della tecnologia, oltre che in società immobiliari e agricole), assieme ai tentativi d’influenza politica e mediatica posti in essere nel nostro paese.
In merito alla decisione di scatenare il conflitto in Ucraina – e alla sua conduzione – qualche crepa si è palesata. Qui si va da coloro che sostengono che Putin sarebbe stato male informato dai militari e dall’intelligence – il che spiegherebbe una serie di decisioni errate ed errori strategici – fino alla posizione espressa dall’inglese The Guardian, che in un pezzo pubblicato a maggio scorso descriveva un presidente con pieni poteri sul campo, che prendeva tutte le decisioni in luogo di ministri e generali, compresi il titolare della difesa Sergei Shoigu e il capo di stato maggiore, Valerij Gerasimov (i custodi dei famosi codici
nucleari). Accogliendo queste costruzioni, emergerebbe la figura di un leader padrone assoluto, sia in ambito politico, che militare, ma in tutta onestà una tale prospettiva suscita qualche perplessità.
Vediamo qualche nome e partiamo dai cosiddetti oligarchi e affini, personalità del mondo politico e dell’imprenditoria di stato, tutti possessori di ingenti patrimoni personali: ⁃ Nikolay Tokarev, padre padrone della società pubblica Transneft, quella che gestisce oleodotti e gasdotti, è in qualche modo il “trasportatore” delle importantissime risorse energetiche russe; e ricordate, dove ci sono soldi c’è potere.
⁃ Igor Panarin, considerato il tessitore della partnership russo cinese;
⁃ Sergei Chemezov, l’amministratore delegato di un’altra importante holding pubblica, la Rostec (fondata dallo stesso Putin nel 2007) che si occupa di difesa e hi-tech.
⁃ Yevgeny Prigozhin, il capo delle famigerate brigate Wagner;
⁃ Sergei Roldugin, ritenuto l’amministratore delle presunte e immense ricchezze private di Putin (alcune fonti le stimano in circa 200 miliardi di dollari);
⁃ I fratelli Boris e Arkady Rosenberg, imprenditori nel settore del gas;
⁃ E per restare al gas, non possiamo dimenticare Aleksej Borisovic Miller, padre padrone della Gazprom, la potente compagnia statale del settore (con interessi che spaziano in molti altri ambiti) e collaboratore della prima ora di Putin.
Sul versante strettamente politico troviamo:⁃ Sergej Lavrov, ministro degli Esteri, Dimitry Peskov, il portavoce ufficiale dello zar;
⁃ Leonid Slutsky, presidente della commissione esteri della Duma.
⁃ Non mancano gli esperti di comunicazione, ruolo quanto mai importante in un assetto di questo tipo, come il giornalista Vladimir Soloviev, una sorta di ministro della propaganda;
⁃ Margarita Simonyan, direttrice di Russia Today;
⁃ Maria Zacharova, portavoce del ministero degli Esteri e considerata nel 2016 tra le 100 donne più influenti al mondo.
Se qualcuno si chiedesse quale potere e quale influenza rivestano questi personaggi, forse la risposta più aderente al vero – ovviamente con tutte le accortezze del caso – sarebbe, pure a prescindere dalle immense ricchezze personali (che avrebbero il loro peso in ogni parte del mondo), il fatto di essere personalità legate a doppio filo con Putin, che in molti casi devono a lui privilegi e benessere (quantomeno per avergliele lasciate): il confine tra l’amicizia e il servilismo può essere, come si comprende bene, estremamente labile. E si badi bene, il servilismo esiste anche da noi in Occidente. Tutto il mondo è paese. Putin, probabilmente, è posto al centro di un complesso sistema di potere, del quale lui rappresenta sì la figura di vertice (sicuramente l’unica che traspare all’esterno), ma del quale è soltanto un ingranaggio di una più ampia oligarchia (questa sì molto ristretta, nel vero senso della parola) all’interno della quale la logica del compromesso non può dirsi del tutto estranea.
Un articolo della rivista culturale e politica MicroMega ci offre una prospettiva interessante: Putin non è tanto un autocrate solitario, quanto piuttosto un abile negoziatore di una miriade di interessi contrastanti. Questi interessi provengono da diversi settori: l’establishment politico e militare, i magnati economici e anche i servizi segreti, nei quali Putin ha ricevuto la sua formazione. Ha saputo utilizzare queste varie sfaccettature del potere per assoggettare il sistema giudiziario ai desideri dell’esecutivo. desideri dell’esecutivo.
In questo contesto, un altro gruppo che ha acquisito sempre più importanza è lo staff che assiste il presidente. Composto da esperti, funzionari, civili e militari, questi individui sostenendo il progetto politico di Putin, che è permeato da un patriottismo incessante e ardente. La gestione del potere diventa quindi un delicato equilibrio di politica e burocrazia, in cui propaganda, strumentalizzazione dei valori storici e soppressione del dissenso giocano ruoli fondamentali.
Da un’altra parte, Enzo Reale propone una visione leggermente diversa. Analizzando i quattro pilastri tradizionali del potere putiniano—gli oligarchi, l’esercito, i servizi segreti e i cosiddetti “uomini forti”—Reale sostiene che dal 2014, con i primi conflitti in Ucraina, c’è stato un marcato centralismo di potere intorno a Putin, dando vita a una forma di autocrazia. Per parafrasare un giornalista con alle spalle anni di corrispondenza da Mosca per il tramite di tg nazionali, Giulietto Chiesa – che tra l’altro aveva visto da anni di distanza il disastro in arrivo, ebbene secondo lui: “la quasi totalità del potere in Russia è nelle mani di Putin: controlla con autorità, anche se non seguendo i classici paradigmi democratici tipici della storia europea, non solo l’andamento della società russa, ma anche, più o meno direttamente, l’esercito, gli armamenti nucleari, le banche e il potere finanziario, le ricche risorse energetiche (petrolio e gas) e persino la criminalità organizzata russa (che vede gli oligarchi tra le prime file) posta sotto il suo costante controllo”. Quanto alla già menzionata Mafia russa, non possiamo fingere che non esista, anch’essa fa parte di questo vortice di influenze. Così come da noi in Italia, la Mafia è potere anche in Russia. “La criminalità organizzata è così dilagante in Russia che minaccia gli equilibri politici e solleva preoccupazione che la stessa ottenga e contrabbandi armi nucleari ad agenti stranieri” afferma il prof. Vincenzo Musacchio, in merito ai rapporti diretti col potere, ed aggiunge “molti membri della malavita sono stati introdotti nell’élite dello Stato sotto forma di imprenditori, oligarchi, trasformati poi anche in politici.” Ebbene sarebbe proprio con il sottobosco malavitoso organizzato che Putin si è trovato costretto volente o nolente a “trattare”, consapevole che le organizzazioni criminali russe formano una parte considerevole della classe dirigente ed economica del Paese. L’autrice Elena De Giorgio ammise che in Russia si sarebbe instaurato un “nuovo ordine che sarebbe stato quello della pax mafiosa stabilita da Vladimir Putin.” Non a caso, di un sistema di potere para mafioso parlò Bill Browder, un finanziere americano che ha fatto fortuna in Russia (ironica la sorte), per poi esserne espulso perché colpevole di essere andato “oltre” (vale a dire tentare di insinuarsi in Gazprom e in altri colossi energetici). Un altro elemento fondamentale della strategia di potere di Putin si trova negli ambienti tradizionalisti. Secondo l’opinione del giornale Remo Contro, diretto da Ennio Remondino, ex giornalista della RAI, Putin ha instaurato un rapporto solido con gruppi russi anti-abortisti, i quali sono fortemente sostenuti dalla Chiesa Ortodossa. Questa alleanza si basa su una reciproca convenienza: appoggiando le posizioni della Chiesa, questa darà a Putin il suo sostegno. Non è un segreto che ci sono molti che sperano in un ribaltamento del potere in Russia attraverso un collasso in Ucraina. Questa analisi potrebbe implicare che il dominio assoluto di Putin sulla Russia non è incrollabile. Dinamiche interne potrebbero infatti aprire la porta alla fine del regime putiniano. Anna Zafesova, scrivendo su La Stampa, suggerisce che la reclusività di Putin potrebbe non essere solo una precauzione contro il Covid, ma potrebbe anche essere dovuta a una certa sfiducia verso chi potrebbe diventare una minaccia per il suo potere. Nel corso dell’ultimo decennio, il putinismo si è posizionato sempre più in contrasto con l’Occidente, facendo leva su valori come la famiglia, le tradizioni cristiane, il patriottismo e il ricordo storico. La narrativa ufficiale dipinge la Russia come un paese sotto assedio da parte dell’Occidente, risvegliando una paura profondamente radicata nella psiche russa: quella di essere circondati da nemici. Per chi spera che un cambio di leadership potrebbe risolvere i problemi attuali della Russia, vale la pena di riflettere sugli esempi di Saddam Hussein e Muammar Gheddafi. Una volta eliminato il leader, le condizioni dei rispettivi paesi non sono necessariamente migliorate. Tra i possibili successori figura Nikolai Patrushev, un uomo che è noto per sostenere politiche aggressive, in particolare in Cecenia e Ucraina. Inoltre, anche la prospettiva di un Medvedev o di un Serghej Kirienko non sembra offrire una deviazione significativa dalla linea politica attuale. In parole povere, chiunque prenda il posto del leader attuale è probabile che continui sulla stessa traiettoria politica, un sentiero che, una volta intrapreso, offre poche opportunità di deviazione. Nel 2014, la rivista Limes faceva una metafora: “il sistema putiniano funziona come un Olimpo: sulla vetta c’è Zeus, sotto, tutti gli altri dèi, a ciascuno viene affidato un settore, ma per tutti può arrivare in qualsiasi momento una letale frecciata dal dio sovrano.” Il che non significa che non siano mancate defezioni importanti, l’ultima in ordine di tempo quella di Anatoly Chubais, regista delle privatizzazioni degli anni Novanta e a lungo consigliere di Putin, che ha lasciato il paese nel marzo scorso, pare in disaccordo sulla decisione di avviare “l’operazione militare speciale” in Ucraina; ulteriori cambiamenti si sono susseguiti negli ultimi mesi, specie da febbraio: l’ammiraglio Igor Osipov, i generali generali Vasilij Kukushkin, Aleksander Laas e Andrej Lipilin, il capo-spia Sergei Beseda, hanno tutti lasciato la barca; inoltre, sette oligarchi sono “scomparsi” – altri caduti accidentalmente dalle scale o dalle finestre – e c’è chi come Vladislav Surkov, il teorico della democrazia sovrana, ha preferito l’espatrio. Sintomi di un certo malcontento all’interno del cerchio magico forse, ma anche – ad avviso di altri– una ricca opportunità per lo zar per sbarazzarsi della vecchia guardia e inserirvi nuovi nomi, come Sergej Karaganov Dmitrij Kovalev, Sergei Korolev o Aleksander Kurenkov, molti dei quali provenienti da settori dell’intelligence. Senza per forza di cose evocare le purghe staliniane degli anni Trenta, e senza dimenticare che già in passato c’era stata l’estromissione di membri dell’esecutivo (come nel 2016 quella del ministro dello Sviluppo economico Alexey Ulyukaev), questi fatti dimostrano sì il potere personale di Putin, ma anche il fatto che SOLO chi si allinea alla filosofia di questo cerchio di potere può restare in sella. La concordia non è gestita solo da Putin, ma da tutti quelli che lo circondano, la maggioranza. Quando la maggioranza perderà fiducia in Putin, allora si cambierà vertice. Non possiamo non citare ancora il buon Aldo Giannuli: “Forse Putin resterà al potere ancora per molti anni, ma sarà la sopravvivenza di un potere personale, non più di un progetto politico.” In sostanza, secondo l’interpretazione di Giannuli, che solo il tempo saprà dirci se giusta o errata, la fase finale della carriera politica di Putin potrebbe essere un fallimento progettuale, prima ancora che personale, che però in un contesto come quello russo può costare caro, a cominciare dal pensionamento anticipato, che da quelle parti assume ben altro significato. Passare dall’idea di un ritiro dorato a quella di un destino più sinistro è un cambiamento rapido nella complessa realtà russa. Contrariamente, Mark Galeotti, un’autorità in materia russa, suggerisce una visione alternativa del futuro prossimo. Egli afferma che, sebbene permanga un’ideologia autocratica e una narrazione di una “Grande Russia,” non scorge nei potenziali successori qualcuno che nutra lo stesso livello di antagonismo e rancore verso l’Occidente—un’ostilità che sembra nascere da un profondo senso di tradimento. Vale la pena aggiungere che il contesto russo è permeato di gruppi estremistici. La sfida sta nel discernere se ci troviamo di fronte a una forma meno perniciosa del male, supponendo che tale opzione esista. Solo il divenire degli eventi potrà fornire una risposta definitiva. Secondo altri esperti come Moscatelli, il cosiddetto “putinismo” potrebbe essere destinato a sopravvivere al suo iniziatore, magari rinnovandosi attraverso nuovi volti e personalità. Ovviamente, molto dipenderà dai futuri sviluppi in Ucraina, ma questa è materia per un altro capitolo. Facci sapere cosa ne pensi nei commenti!