Nell’articolo di oggi metteremo a confronto la stagnante economia europea con la più dinamica statunitense, esaminando i fattori che hanno contribuito a una tale divergenza. Approfondiremo l’innovazione tecnologica, come il chatbot di Siemens che promette di rivoluzionare l’interazione tra operai e macchinari, e discuteremo le sfide legate “all’illiberalismo” e all’instabilità geopolitica che minacciano il continente.
Claus Romanowsky, Senior Business Development Manager presso Siemens considera completamente infondate le affermazioni secondo cui l’economia europea sarebbe arretrata dal punto di vista tecnologico. Se un maggior numero di aziende europee sfruttasse l’intelligenza artificiale in questo modo, potrebbe contribuire a risolvere alcuni dei problemi profondi dell’economia della regione, che è in ritardo rispetto alla crescita vertiginosa degli Stati Uniti.
Il mese scorso il presidente francese Emmanuel Macron ha avvertito che l’Europa si trova di fronte a una minaccia “mortale” rappresentata dal declino economico, dall’aumento dell’ “illiberalismo” e dalla guerra al confine orientale. Quando parliamo di “illiberalismo” ci riferiamo ad una tendenza o ad un insieme di politiche che si allontanano dai principi del liberalismo classico, quali la libertà individuale, il rispetto dei diritti civili, la trasparenza governativa e la separazione dei poteri. Nell’ambito politico ed economico, l’illiberalismo può manifestarsi in vari modi, come un aumento del controllo governativo su economia e società, restrizioni alla libertà di stampa, limitazioni ai diritti umani e civili, e un potere esecutivo che tende a sopraffare gli altri rami del governo.
Il mese scorso il presidente francese Emmanuel Macron ha avvertito che l’Europa si trova di fronte a una minaccia “mortale” rappresentata dal declino economico, dall’aumento dell’ “illiberalismo” e dalla guerra al confine orientale. Quando parliamo di “illiberalismo” ci riferiamo ad una tendenza o ad un insieme di politiche che si allontanano dai principi del liberalismo classico, quali la libertà individuale, il rispetto dei diritti civili, la trasparenza governativa e la separazione dei poteri. Nell’ambito politico ed economico, l’illiberalismo può manifestarsi in vari modi, come un aumento del controllo governativo su economia e società, restrizioni alla libertà di stampa, limitazioni ai diritti umani e civili, e un potere esecutivo che tende a sopraffare gli altri rami del governo.
Questa divergenza transatlantica è diventata così acuta da creare una spaccatura tra Stati Uniti ed Europa in materia di politica monetaria. Poiché si prevede che la crescita e l’inflazione rimarranno più forti negli Stati Uniti che in Europa, gli investitori si aspettano che la Federal Reserve tagli i tassi di interesse quest’anno meno volte rispetto alla Banca Centrale Europea o alla Banca d’Inghilterra. La combinazione tra gli elevati costi energetici europei, ora ben superiori a quelli degli Stati Uniti, e gli interessanti incentivi offerti da Washington per l’energia verde e per progetti legati al mondo dei semiconduttori sta invogliando un gran numero di aziende europee a trasferire la propria attività oltreoceano.
Paolo Gentiloni, commissario per l’economia dell’UE, afferma che la questione riguarda il come affrontare la necessità di investimenti critici in settori come la transizione verde e la difesa, dato il contesto fiacco. “Lo scandalo per l’Europa non è la bassa crescita, perché purtroppo ci siamo abituati”, ha dichiarato. “Il problema è come mantenere un livello sufficiente di investimenti, attirando capitali privati e sostenendo con investimenti pubblici le esigenze di queste nuove sfide”. All’inizio degli anni ’90 l’economia europea era in crescita, grazie allo sviluppo dell’allora nuovo mercato unico dell’UE e alla sua espansione verso est dopo la fine della guerra fredda. Da allora, però, le economie combinate dei 27 Paesi che oggi compongono l’UE hanno perso costantemente terreno nei confronti degli Stati Uniti, colpiti da una serie di battute d’arresto, in particolare dalla crisi del debito dell’Eurozona un decennio fa. Più di recente, la pandemia di Covid-19 e il conflitto tra Russia e Ucraina, hanno inflitto danni economici maggiori all’Europa che agli Stati Uniti. Secondo il FMI, i livelli medi di reddito pro capite in termini di parità di potere d’acquisto in Europa sono scesi di circa il 30% rispetto a quelli degli Stati Uniti. Inoltre, il reddito pro capite degli Stati Uniti ha superato quello di tutte le principali economie avanzate dell’UE e il Fondo prevede che questo divario si amplierà ulteriormente nel corso del decennio. Parte del problema per l’Europa è stata la scarsità di crescita della domanda, la debolezza degli investimenti e l’accumulo di manodopera. Una situazione in cui le aziende trattengono più lavoratori del necessario per paura di faticare a riassumerli una volta che la domanda si sarà ripresa. Dunque un problema sul lato della domanda, che deriva principalmente dalla mancanza di fiducia nei consumatori europei.
Negli Stati Uniti, le famiglie più ricche e anziane sono state isolate dall’aumento dei costi di finanziamento grazie alla predilezione del Paese per i mutui trentennali, che hanno bloccato i tassi di interesse ai livelli bassissimi precedenti alla pandemia. Le famiglie europee hanno mutui di durata inferiore o a tasso variabile, che hanno assorbito una quota maggiore del loro reddito mensile da quando i tassi sono saliti due anni fa. Nell’Eurozona si risparmia ancora più del 14% di quanto si guadagna, ben al di sopra della media storica. Ma i consumatori statunitensi hanno speso quasi tutto il denaro extra messo da parte durante la pandemia, riducendo i loro risparmi a meno del 5% del loro reddito. Anche in Europa i cittadini scelgono di lavorare meno, una tendenza che si è intensificata dopo la pandemia, come dimostrano le pressioni dei lavoratori ferroviari tedeschi per ridurre la settimana lavorativa da 38 a 35 ore entro il 2029 e quelle dei lavoratori dell’acciaio che chiedono di essere pagati di più per lavorare solo 32 ore a settimana. La BCE ha stimato che alla fine dello scorso anno il dipendente medio dell’Eurozona lavorava cinque ore in meno rispetto al periodo precedente l’arrivo della pandemia nel 2020. Un dato che equivale alla perdita di 2 milioni di lavoratori a tempo pieno all’anno per la zona euro, mentre l’orario medio dei lavoratori statunitensi è rimasto stabile. “C’è una differenza tra l’equilibrio tra lavoro e vita privata negli Stati Uniti e in Europa”, afferma Markus Brunnermeier, professore di economia di origine tedesca all’Università di Princeton. “Le preferenze delle persone sono molto diverse. La carenza di manodopera in Europa è aggravata da questa situazione e dalla demografia. Si può compensare con l’immigrazione dall’Europa orientale, ma i giovani di questa regione tornano a casa o non si muovono affatto”. Un ulteriore onere per l’economia europea deriva dall’invecchiamento della popolazione e dal calo delle nascite, che stanno già creando una diffusa carenza di manodopera con il pensionamento della generazione del baby boom. Attualmente nell’UE ci sono tre persone in età lavorativa per ogni persona di 65 anni o più. Ma entro il 2050 si prevede che il rapporto sarà inferiore a due persone in età lavorativa per ogni anziano. La popolazione statunitense invecchierà più dolcemente, passando da poco meno di quattro persone in età lavorativa per ogni persona di oltre 64 anni oggi a poco meno di tre entro il 2050, secondo l’ufficio del censimento.
Molti Paesi dell’UE stanno cercando di mantenere più a lungo i lavoratori anziani nella forza lavoro o di aumentare la partecipazione femminile alla forza lavoro. Basti pensare alla nostra amata Italia dove stiamo superando la soglia dei 67 anni per il pensionamento. Questo invecchiamento della società indica che le tendenze demografiche probabilmente contribuiranno poco alla crescita a medio termine, lasciando l’Europa ancora più dipendente dai miglioramenti della produttività. Anche in questo caso, la storia è preoccupante. Gli Stati Uniti sono considerati un ambiente imprenditoriale più favorevole alle imprese e più dinamico, che si è sempre dimostrato più abile nel convogliare gli investimenti in settori a forte crescita, tra cui quello informatico. Isabel Schnabel, dirigente della BCE, afferma che dalla metà degli anni Novanta l’Eurozona ha perso circa il 20% della produttività rispetto agli Stati Uniti, attribuendo questo fenomeno all'”incapacità del continente di cogliere i benefici degli sviluppi della tecnologia digitale”, come il cloud computing e le applicazioni software. “Non è che queste conoscenze tecnologiche non siano distribuite tra i Paesi, ma è solo una quota molto piccola di aziende all’interno dei Paesi a farne un uso efficiente”, afferma l’esperta. Schnabel aggiunge che molte aziende europee sono troppo piccole e vincolate dalla normativa per sfruttare appieno le nuove tecnologie. Le aziende con più di 250 dipendenti rappresentano quasi il 60% dei posti di lavoro del settore privato negli Stati Uniti, ma nell’UE questa percentuale scende al 12% in Grecia ed al 37% in Germania. “Le aziende più grandi investono di più e sono più produttive”, afferma l’esperta. Il ritardo dell’Europa in termini di produttività è di lunga data e ha un costo enorme in termini di tenore di vita. Se le cinque maggiori economie europee – Germania, Regno Unito, Francia, Italia e Spagna – avessero eguagliato il tasso di crescita della produttività americano tra il 1997 e il 2022, il loro PIL pro capite sarebbe in media superiore di quasi 13.000 dollari in termini di parità di potere d’acquisto, secondo le stime del McKinsey Global Institute. “In termini di divario di produttività tra gli Stati Uniti e l’Europa, quello che si è visto negli ultimi quattro anni è che gli Stati Uniti sono stati leggermente deludenti e l’Europa è stata terribilmente deludente”, afferma Jason Furman, economista di Harvard. “Siamo una specie di cavallo meno brutto nella fabbrica di colla”. Parte del problema è stata la ritardata crescita degli investimenti in Europa. Erik Nielsen, consulente di UniCredit, afferma che gli investimenti negli Stati Uniti sono aumentati di oltre l’8% dalla fine del 2019 e all’inizio di quest’anno erano ancora in forte crescita, mentre nell’Eurozona sono rimasti “terribilmente deboli”, al di sotto del 4% rispetto ai livelli pre-Covid. Le differenze sono evidenti quando si esaminano le aziende più grandi. Le maggiori società europee quotate in borsa con un fatturato annuo superiore al miliardo di dollari, comprese quelle del Regno Unito, della Norvegia e della Svizzera, hanno investito 400 miliardi di dollari in meno rispetto alle loro controparti statunitensi nel 2022, ha rilevato McKinsey. La Volkswagen è stata l’unica azienda dell’UE a comparire tra le prime 10 in un recente rapporto della Commissione Europea che esaminava i primi 2.500 investitori mondiali in R&S (ricerca sviluppo) nel 2023. 6 delle prime 10 avevano sede negli Stati Uniti e nessuna nel Regno Unito. Jan Mischke, partner del McKinsey Global Institute, afferma che il divario di investimenti è particolarmente evidente nel settore informatico. La spesa in R&S delle cosiddette Magnifiche Sette – Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Microsoft, Nvidia e Tesla – è stata di oltre 200 miliardi di dollari lo scorso anno, circa la metà della spesa totale dell’Europa in tutti i settori privati e pubblici (attualizzata al valore di cambio tra le due valute). Secondo Mischke, l’Europa ha costruito e perfezionato un modello di “eccellenza industriale”, ma il mondo sta cambiando. “È in atto una massiccia interruzione tecnologica per cui un approccio incrementale non è sufficiente”. Lo squilibrio nei finanziamenti del capitale di rischio è evidente. Secondo una ricerca di KPMG, l’anno scorso gli investimenti in società statunitensi sono stati quasi il triplo di quelli europei. Negli ultimi tre anni, inoltre, i fondi di venture capital statunitensi hanno raccolto quasi cinque volte di più rispetto a quelli europei. “Con tutte le previsioni negative sull’Europa, questa è la grande domanda che rimane: l’adozione di nuove tecnologie di intelligenza artificiale sarà probabilmente più lenta e meno vantaggiosa che negli Stati Uniti e in Cina?”, afferma Adam Posen, presidente del Peterson Institute for International Economics. “L’Europa ha un approccio comprensibilmente cauto nel regolamentare le nuove tecnologie, ma questo sarà uno svantaggio in questo caso”. Mentre i ministri dell’UE concordano sulla necessità di sostenere la crescita, alcuni dubitano della sostenibilità dell’attuale traiettoria degli Stati Uniti. “Non è un problema nuovo per l’Europa né per i Paesi Bassi: la crescita non è stata spettacolare”, afferma Steven van Weyenberg, ministro delle Finanze olandese. Ma guardando ai risultati recenti, aggiunge: “Parte di questa storia è dovuta alla politica fiscale molto allentata negli Stati Uniti, che potrebbe non essere sostenibile per decenni”. I
I potenziali guadagni derivanti dall’IA, come quello che Siemens sta facendo con il suo chatbot, rappresentano “un motore fondamentale e un’opportunità per l’Europa, per avere la forza economica di affrontare alcuni dei suoi problemi più difficili”, afferma Ralph Haupter, responsabile di Microsoft per l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa. Secondo le sue stime, l’IA potrebbe aumentare la produttività dei programmatori del 40-45% e degli impiegati del 20-25%. Oltre al chatbot di Siemens, l’Europa ha visto nascere numerose innovazioni tecnologiche che meritano attenzione. Ad esempio, la Danimarca ha guadagnato riconoscimenti globali per i suoi avanzamenti nell’energia eolica offshore, mentre la Finlandia è leader nella tecnologia dell’educazione digitale, che ha rivoluzionato l’apprendimento a distanza. In Germania, le partnership tra università e industrie sono all’avanguardia nella ricerca sulle batterie elettriche e l’autonomia dei veicoli. Successi che ci dimostrano come ci siano isole di eccellenza tecnologica in Europa che potrebbero servire da modello per altre regioni. Parlando di prospettive future e crescita, l’economia dell’Eurozona ha mostrato timidi segnali di ripresa dalla recente stagnazione con una crescita trimestrale dello 0,3% all’inizio di quest’anno. L’economia del Regno Unito è cresciuta a un tasso trimestrale ancora più rapido, pari allo 0,6%, superando la crescita dello 0,4% degli Stati Uniti nel periodo. Alcuni politici ritengono che molti dei problemi della regione potrebbero essere risolti se ci fosse meno negatività sul futuro. “C’è il rischio che l’incertezza si autoavveri”, afferma Schnabel. “A fronte degli enormi shock che abbiamo avuto in Europa, la performance economica non è stata così negativa come molti temevano, quindi dovremmo smettere di parlare male di noi stessi”. Come può l’Europa bilanciare l’innovazione con la tradizione, e quali passi può intraprendere per garantire che la tecnologia lavori a favore di un benessere economico più equilibrato e inclusivo? Può il nostro continente con la collaborazione, l’investimento, e un rinnovato impegno verso il progresso sostenibile, riuscire a recuperare il terreno perduto e tracciare un nuovo percorso verso un futuro prospero?
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