Il World Economic Forum (WEF) è un’organizzazione internazionale no-profit con sede a Cologny, Ginevra, in Svizzera. Fondata nel 1971 da Klaus Schwab, professore di economia aziendale all’Università di Ginevra, il WEF è conosciuto principalmente per il suo incontro annuale a Davos, una località montana della Svizzera. Questo evento riunisce leader aziendali, politici internazionali, intellettuali e giornalisti per discutere le questioni più urgenti che il mondo sta affrontando, tra cui economia, politiche di salute, ambiente e sviluppo sostenibile. L’obiettivo, almeno teorico, del WEF è quello di migliorare lo stato del mondo fungendo da piattaforma per la formazione di agende globali, regionali e industriali e per facilitare la discussione e la cooperazione tra il settore pubblico e quello privato. Il Forum è noto per promuovere la cooperazione pubblico-privata e per cercare di essere un catalizzatore per le soluzioni alle sfide globali, attraverso il dialogo e l’impegno tra vari stakeholder della società globale. La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni e, di fatto, il WEF ed i suoi membri si sono spesso ritrovati al centro di critiche e scandali a sfondo “complottista”. Tra Agenda 2030, cyber-pandemie ed altre tematiche scottanti, abbiamo cercato di riportare nel seguente articolo i temi più discussi dell’ultimo incontro dell’organizzazione, tenuto a Davos dal 15 al 19 gennaio scorsi.
Ciò nonostante, le discussioni sul futuro della sostenibilità sono state ferventi, in parte perché i dirigenti aziendali con cui ho avuto modo di parlare sembravano unanimemente impegnati verso azioni di decarbonizzazione, mostrando consapevolezza verso la necessità di mitigare la disuguaglianza sociale.
1. L’importanza della DEI nell’IA Quest’anno a Davos, l’ombra di “Hal” — l’inquietante entità AI del film “2001: Odissea nello spazio” — ha dominato le percezioni, alimentando timori che l’intelligenza artificiale possa non solo generare rischi esistenziali, superando l’intelligenza umana, ma anche accentuare le disuguaglianze. Peggio ancora, come mi ha confidato Alex Tsado, co-fondatore dell’organizzazione no-profit Alliance4ai, le voci provenienti dai paesi meno abbienti sono state largamente marginalizzate nello sviluppo e nell’adozione dell’IA. Nonostante ciò, Alliance4ai si sta adoperando per correggere questa situazione in Africa. Anche se il concetto di diversità, equità e inclusione (DEI) è diventato meno popolare in alcune aziende a causa di contraccolpi politici, i colossi tecnologici sono consapevoli della necessità di affrontare le critiche relative ai pregiudizi nell’IA. Allo stesso tempo, alcune personalità, come il rapper will.i.am, sostengono che l’IA possa effettivamente contribuire a ridurre le disuguaglianze piuttosto che accentuarle. Yann LeCun, capo scienziato dell’IA presso Meta, sostiene che per democratizzare l’IA sono necessari almeno tre interventi: fornire potenza di calcolo a costi sostenibili per le istituzioni al di fuori del circuito Big Tech, promuovere la ricerca sull’IA in modalità open source e sviluppare una regolamentazione che non ostacoli la competizione da parte dei nuovi attori. Attendiamo con speranza. Durante l’edizione di quest’anno del Forum Economico Mondiale a Davos, will.i.am si è distinto tra coloro che hanno celebrato le potenzialità trasformatrici dell’intelligenza artificiale. Questo entusiasmo deriva in parte dal modo in cui l’IA ha catalizzato la sua creatività, come dimostra il lancio del primo show radiofonico musicale gestito da un bot. Tuttavia, vi è un motivo più profondo: la convinzione che l’IA possa integrare le persone marginalizzate nell’economia principale negli anni a venire, fungendo da catalizzatore per un’equità sociale maggiore. In un discorso energico e ricco di colorite espressioni, ha sostenuto che l’IA “eliminerà gli ostacoli” per coloro “che partono da meno”, in modi finora inimmaginabili. Questa visione potrebbe essere interpretata come un’eccessiva ottimizzazione tipica del clima di Davos, benché recentemente diversi economisti abbiano previsto che l’IA contribuirà significativamente alla crescita economica. Michael Spence, ad esempio, stima un incremento annuale di almeno 4 trilioni di dollari al PIL globale. Queste prospettive di un miracolo produttivo emergono nonostante le preoccupazioni per un’aggravante disparità sociale legata alla perdita di posti di lavoro. In questo contesto, una ricerca di PwC ha evidenziato come un quarto dei dirigenti aziendali globali preveda che l’IA generativa possa ridurre la forza lavoro di almeno il 5% entro l’anno.
Di conseguenza, non sorprende che soltanto il 30% della popolazione globale manifesti interesse verso l’adozione dell’IA, mentre il 35% la rifiuta, secondo un’indagine di Edelman. Tuttavia, esistono due elementi cruciali che spiegano una visione alternativa e più ottimistica sull’inclusione, promossa da will.i.am e altri. Il primo riguarda l’impatto dell’IA sui lavori definiti da David Goodhart come di “testa, mano, cuore”, ovvero quelli che richiedono competenze cognitive, manuali e di cura. Se nel XX secolo la digitalizzazione ha colpito principalmente i lavori manuali, causando una polarizzazione dei redditi nonostante la creazione di nuovi impieghi, come osservato da economisti quali David Autor, oggi l’IA incide sulle professioni intellettuali (e, in misura minore, su quelle affettive), secondo quanto riferito da Josephine Teo, ministro digitale di Singapore, durante un incontro del WEF. Ciò rappresenta una sfida per le professioni d’élite, una novità storica. Le implicazioni sono profonde, tanto da suscitare preoccupazioni tra gli esperti, mentre alcuni lavoratori manuali potrebbero percepire un certo sollievo. Il secondo elemento evidenzia come le rivoluzioni tecnologiche tendano a destabilizzare gli attori consolidati, afferma Andrew McAfee, economista presso la MIT Sloan School of Management. Sebbene possa sembrare paradossale, dato l’arricchimento dell’élite che ha guidato lo sviluppo e l’adozione dell’IA, considerare l’acronimo come sinonimo di “intelligenza aumentata” piuttosto che “artificiale” apre a prospettive di sfida delle gerarchie esistenti, facilitando compiti cognitivi complessi. La democratizzazione di attività quali la redazione di contratti, la programmazione avanzata o le diagnosi mediche, tradizionalmente appannaggio di un’élite istruita, potrebbe abbattere le barriere all’ingresso per le professioni intellettuali. Questo scenario, per quanto inquietante per l’élite, offre opportunità senza precedenti per gli altri. Ecco perché leader dell’IA come James Manyika di Alphabet percepiscono un atteggiamento crescentemente positivo verso l’IA nei paesi in via di sviluppo rispetto a quelli sviluppati, e attivisti sociali come will.i.am vedono nell’IA uno strumento di emancipazione, soprattutto per i bambini più svantaggiati. 2. La digitalizzazione a favore della sostenibilità Questa settimana, un tema di grande attualità è l’impiego della digitalizzazione per avanzare gli obiettivi di sostenibilità. Bill Gates, cofondatore di Microsoft, a questo proposito ha presentato a Davos un dispositivo ad ultrasuoni potenziato dall’intelligenza artificiale, che, secondo lui, potrebbe rivoluzionare la salute materna nei paesi in via di sviluppo. Will Marshall, CEO del consorzio spaziale Planet, ha rivelato che la sua compagnia sta elaborando dati satellitari tramite l’IA per favorire i mercati del carbonio e verificare la corretta installazione dei pannelli solari, notando come molti di questi non siano efficienti. Katie McGinty, di Johnson Controls, ha condiviso con me come l’IA stia facilitando la realizzazione di edifici a emissioni zero attraverso l’ottimizzazione dell’utilizzo delle energie rinnovabili. “Non si può raggiungere l’obiettivo zero emissioni in un edificio senza l’IA,” ha affermato, portando come esempio l’Università di Princeton, che ha tagliato la propria impronta carbonica del 70% e ridotto la bolletta energetica del 60% grazie a queste iniziative. Un episodio particolarmente significativo per me riguarda l’analisi delle acque reflue degli aerei: ho appreso che il governo USA sta impiegando sistemi di machine learning per esaminare i campioni raccolti all’atterraggio degli aerei, allo scopo di identificare nuovi virus. Ricordatevelo al vostro prossimo volo. 3. Svolta normativa imminente Coloro che operano nel settore ambientale sono ben consapevoli dei cosiddetti punti di svolta ecologici. Emmanuel Faber, presidente dell’International Sustainability Standards Board, ha tuttavia sottolineato che ci troviamo ora di fronte a una svolta anche sul fronte normativo. La ragione risiede nel fatto che, nonostante l’introduzione di nuove normative volte a incentivare la rendicontazione sulla sostenibilità, l’implementazione non avviene in maniera uniforme a livello globale. Questo porta a una frammentazione crescente, rendendo arduo per le imprese orientarsi, oppure potrebbe favorire lo sviluppo di un modello normativo più armonizzato. È facile intuire quale scenario Faber auspichi e mi ha informato che, fortunatamente, le nuove legislazioni europee sulla sostenibilità si allineano grosso modo con quelle dell’ISSB sotto l’aspetto ambientale. Analogamente, le recenti normative californiane, che obbligano le grandi imprese a dichiarare le emissioni di Scope 3 relative alla catena di fornitura e all’uso dei prodotti, seguono una direzione simile. Tuttavia, la Securities and Exchanges Commission sembra prendere le distanze dalle normative su Scope 3, un fattore che potrebbe rivelarsi irrilevante dato che la maggior parte delle grandi aziende opera in California e deve quindi conformarsi a tali standard. La discussione, però, rimane aperta. 4. L’importanza dei minerali essenziali Attualmente, il settore delle tecnologie sostenibili è profondamente focalizzato sulla tavola periodica, data la necessità di accedere a risorse abbondanti di minerali come litio e nichel per impulso all’energia rinnovabile. La predominanza della Cina nelle catene di approvvigionamento di questi materiali genera preoccupazioni costanti nei vertici aziendali e nelle autorità di sicurezza occidentali. Durante l’evento di questa settimana, si è discusso intensamente sulla possibilità di diversificare le fonti di questi minerali. Una nutrita rappresentanza ucraina ha evidenziato le vaste risorse di minerali fondamentali presenti nel proprio territorio, stimate tra i 4 e i 12 trilioni di dollari, che potrebbero soddisfare le esigenze europee con l’adeguato sviluppo infrastrutturale. Hanno inoltre rivelato l’interesse della Cina e i tentativi della Russia di accedere a tali risorse. Nonostante il conflitto in corso in Ucraina, si è parlato della potenziale ricchezza mineraria in aree come il Cile, la Scandinavia o i fondali oceanici, e della collocazione degli impianti di raffinazione, un tema destinato a rimanere attuale nel lungo termine. 5. Il valore delle partnership In apertura di settimana, il WEF ha pubblicato il suo rapporto annuale sui rischi globali, evidenziando un crescente interesse dei partecipanti di Davos verso le collaborazioni tra settore pubblico e privato e le sinergie all’interno dello stesso settore industriale. Questo interesse nasce dalla consapevolezza che le sfide legate alla sostenibilità, a causa della loro complessità e onerosità, non possono essere superate da singole entità. Collaborare in gruppo non solo offre una maggiore protezione contro eventuali contraccolpi politici, ma consente anche di ottimizzare le spese. Un esempio è dato dalla Pepsi, tradizionalmente in competizione con la Coca-Cola in una rivalità che Jim Andrew, responsabile della sostenibilità in Pepsi, ha ironicamente paragonato alla divisione politica “rossa e blu” negli Stati Uniti. Andrew ha tuttavia rivelato che ora le due aziende stanno esplorando attivamente modalità di cooperazione in ambiti come l’agricoltura rigenerativa e la gestione delle risorse idriche, un trend in ascesa. 6. L’eco dell’ESG si attenua Nonostante l’impegno delle aziende verso la sostenibilità, molti dirigenti, specialmente negli Stati Uniti, mostrano esitazione nell’adottare l’acronimo ESG, notevolmente assente nelle discussioni di questa settimana, una reticenza attribuibile alla controversia politica. Takeshi Niinami, CEO di Suntory, emerge come eccezione, evidenziando come in Giappone il termine sia ancora diffuso e sempre più orientato verso questioni sociali, quali la lotta alla povertà, oltre alle iniziative ambientali. Questo sottolinea un cambiamento: sostenere la sostenibilità in azienda richiede di promuoverla come veicolo di resilienza e valorizzazione del marchio, non solo come un gesto altruistico. “La sostenibilità è ancora in corso, ma dobbiamo dimostrare il suo impatto positivo sui risultati finanziari,” afferma un responsabile della sostenibilità, evidenziando uno dei motivi per la presenza di questi professionisti a Davos. La discussione si arricchisce di sfumature quando si nota l’assenza, negli ultimi documenti di BlackRock, di riferimenti diretti al contenimento del riscaldamento globale entro 2°C, sebbene tali indicazioni trovino spazio nei più ampi principi di stewardship dell’investimento della compagnia, rivelando un’evoluzione nel linguaggio dell’investimento sostenibile. Emergono, dunque, temi cruciali come la digitalizzazione per la sostenibilità, la diversificazione delle fonti di minerali critici, l’importanza crescente delle partnership pubblico-private, e un cauto ottimismo verso l’integrazione dell’ESG nelle strategie aziendali. Che voi siate dei fan o dei detrattori di questa associazione, sicuramente questi argomenti non sono trascurabili e delineeranno sempre più le sfide attuali, ma anche le opportunità di innovazione e collaborazione per un futuro più sostenibile e inclusivo. Mentre le discussioni si evolvono, l’imperativo di costruire un domani più verde e equo resta una priorità condivisa, ispirando azioni e soluzioni concrete in un panorama globale in rapida trasformazione. E tu cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti!