Negli ultimi giorni, il panorama economico internazionale è stato scosso da
annunci sorprendenti provenienti da Washington. L’ex presidente degli Stati
Uniti, Donald Trump, ha dichiarato l’intenzione di imporre nuovi dazi del 25% su
tutte le importazioni provenienti da Canada e Messico, e un ulteriore 10% su
quelle cinesi. Queste misure, secondo Trump, sarebbero una risposta diretta al
presunto mancato controllo dell’immigrazione illegale e del traffico di droga, in
particolare del fentanyl, da parte di questi paesi.
La Cina ha prontamente reagito alle affermazioni di Trump, con la televisione di
Stato CCTV che le ha definite “irresponsabili”. Pechino ha cercato di
presentarsi come un baluardo del libero scambio, nonostante le accuse di
sussidiare pesantemente i propri produttori e di mantenere rigide barriere
all’accesso delle aziende internazionali al suo mercato interno.
Il vicepresidente cinese Han Zheng, intervenendo all’apertura di una fiera
globale della catena di approvvigionamento a Pechino, ha sottolineato che “la
globalizzazione economica è una tendenza storica irreversibile”. Ha aggiunto
che la Cina lavorerà per “costruire un sistema economico mondiale aperto e
salvaguardare la stabilità e il funzionamento senza ostacoli della catena
industriale e di approvvigionamento globale”.
Le nuove proposte di dazi di Trump sembrano essere il primo passo di una
politica commerciale più conflittuale, dopo una campagna elettorale in cui ha
criticato duramente i principali partner commerciali degli Stati Uniti. Durante il
suo primo mandato, Trump aveva minacciato di imporre un dazio generalizzato
superiore al 60% su tutte le importazioni cinesi.
Un elemento chiave in questa dinamica è la nomina di Scott Bessent come
Segretario al Tesoro. Bessent, titano dei fondi hedge e storico dell’economia, è
visto come un sostenitore di dazi attentamente calibrati e graduali, mirati ai
paesi in base al loro allineamento con gli Stati Uniti. Tuttavia, l’improvviso
annuncio di dazi su Canada, Messico e Cina sembra in contrasto con
l’approccio più misurato attribuito a Bessent.
Parallelamente, Trump ha nominato Jamieson Greer come Rappresentante per il
Commercio degli Stati Uniti, un protetto di Robert Lighthizer, noto “guerriero
dei dazi” durante il primo mandato di Trump. Greer è noto per le sue idee su
come utilizzare i dazi come leva per costringere i partner commerciali a
liberalizzare i propri mercati e ad acquistare esportazioni statunitensi.
Infine, per la direzione del Consiglio Economico Nazionale, Trump ha scelto
Kevin Hassett, un economista di libero mercato più ortodosso che ha servito
felicemente nell’amministrazione pro-commercio di George W. Bush. Hassett è
un sostenitore del Reciprocal Trade Act proposto da Trump, che mira a
incentivare i partner commerciali a ridurre i dazi ai livelli statunitensi
I leader politici messicani hanno espresso preoccupazione per le proposte di
Trump. Ricardo Monreal, leader del partito di governo messicano alla camera
bassa del congresso, ha dichiarato che i dazi “non risolveranno la questione di
fondo” al confine. “Un’escalation di ritorsioni commerciali danneggerebbe solo
le tasche delle persone”, ha scritto su X (precedentemente Twitter).
Dal lato canadese, la vice primo ministro Chrystia Freeland e il ministro della
sicurezza pubblica Dominic LeBlanc hanno emesso una dichiarazione congiunta
in cui hanno elogiato la relazione bilaterale con gli Stati Uniti come “una delle
più forti e più strette… in particolare quando si tratta di commercio e sicurezza
delle frontiere”. Hanno anche sottolineato che il Canada “acquista più dagli
Stati Uniti di quanto facciano Cina, Giappone, Francia e Regno Unito messi
insieme” e che lo scorso anno ha fornito “il 60% delle importazioni statunitensi
di petrolio greggio”.
L’insieme di queste nomine e annunci indica una possibile lotta interna
all’amministrazione Trump tra diversi approcci alla politica commerciale. Da un
lato, figure come Bessent e Hassett potrebbero promuovere strategie più
misurate e orientate al libero mercato. Dall’altro, elementi più protezionisti e
nazionalisti potrebbero spingere per misure più aggressive e unilaterali.
Come osservato da analisti economici, l’amministrazione Trump potrebbe
essere caratterizzata da una serie di cortigiani in competizione tra loro sotto la
guida di un presidente erratico, motivato da istinti e pregiudizi. La sua
propensione ad ascoltare voci esterne che lo spingono a perseguire obiettivi di
sicurezza anche a costo di danneggiare l’economia statunitense potrebbe
essere ancora più forte.
Alla luce di questi sviluppi, risulta chiaro che prevedere le future mosse della
politica commerciale statunitense sarà estremamente difficile. Gli strumenti
economici coercitivi a disposizione degli Stati Uniti variano notevolmente in
efficacia e non sono onnipotenti.
L’influenza degli Stati Uniti è più forte nel settore finanziario globale, in
particolare attraverso il sistema dei pagamenti in dollari, che può essere
utilizzato per isolare paesi ostili come Russia o Iran. Tuttavia, tali sanzioni non
hanno portato al collasso dell’impegno bellico russo né a un cambio di regime
in Iran.
Il potere degli Stati Uniti di utilizzare il commercio di beni come leva è
relativamente minore. Nonostante sia la più grande economia al mondo in
termini di valore, gli Stati Uniti hanno una minore esposizione al commercio
rispetto ad altre grandi economie. Inoltre, l’imposizione di dazi selettivi
potrebbe portare a una diversione del commercio, con esportazioni dai paesi
ostili che vengono reindirizzate attraverso economie più amichevoli.
La situazione attuale è un monito per chiunque pensi di avere già compreso
appieno l’amministrazione Trump. L’unica certezza è che Trump utilizzerà i dazi
nei prossimi anni, ma rimane molto incerto come li impiegherà, con quale scopo
e quali altri strumenti economici e finanziari potrebbero essere utilizzati.
Questo è un avvertimento per chi crede di aver già decifrato le dinamiche della
politica economica statunitense: in realtà, nessuno sa davvero cosa accadrà.