A una settimana dalle elezioni presidenziali americane, la corsa per la Casa Bianca tra Donald Trump e Kamala Harris è più incerta e imprevedibile che mai. Dopo spese elettorali per un totale di 2,8 miliardi di dollari, due tentativi di attentato e il ritiro di un presidente in carica dalla competizione, gli elettori americani sono ancora profondamente divisi. I sondaggi mostrano un pareggio virtuale tra i due candidati, segnale o di una profonda spaccatura politica negli Stati Uniti o di un possibile errore dei sondaggisti, che si chiarirà solo alla chiusura dei seggi il 5 novembre.

Nel 2016, per esempio, Hillary Clinton ottenne più voti di Trump a livello nazionale, ma lui conquistò più stati strategici, assicurandosi la vittoria.
Tre tra i principali modelli previsionali — FiveThirtyEight, The Economist e Silver Bulletin — indicano Trump come leggermente favorito, con il 53% di possibilità di vincere. Inoltre, i mercati delle previsioni, che registrano i pronostici degli investitori, danno a Trump una probabilità di vittoria vicina al 60%. Questi mercati sono però influenzati da pochi grandi scommettitori, quindi l’attendibilità di queste percentuali rimane incerta. Un paragone inevitabile si fa con il 2016, quando Trump, nonostante fosse dato perdente nei sondaggi, superò Hillary Clinton e vinse la presidenza. Anche nel 2020, sfidando le aspettative che lo davano indietro rispetto a Biden, Trump ottenne risultati migliori del previsto. Quest’anno si trova indietro solo di pochi punti, e la campagna di Harris sta cercando di non sottovalutare il suo avversario. La strategia della vice-presidente, in questo senso, si differenzia da quella di Clinton nel 2016: mentre Clinton trascurò stati come il Wisconsin, Harris sta portando avanti una campagna capillare, cercando di evitare gli stessi errori.

Più di 40 milioni di americani hanno già votato tramite schede postali o in anticipo, un dato inferiore rispetto al picco della pandemia nel 2020 ma comunque destinato a superare il livello del 2016. Tra gli elettori che hanno votato in anticipo, il 40% sono democratici e il 36% repubblicani, ma gli esperti avvertono che questi numeri non sono sempre indicativi del risultato finale. A livello di finanziamenti, questa sarà la campagna presidenziale più costosa nella storia americana, con una raccolta fondi totale di 3,8 miliardi di dollari. I democratici, grazie anche al supporto per Harris e alla popolarità di Biden, hanno raccolto 2,15 miliardi di dollari, superando i 1,68 miliardi dei gruppi pro-Trump. Harris ha inoltre investito maggiormente in pubblicità nei principali swing states, avendo a disposizione una somma residua di 261 milioni di dollari contro i 241 milioni di Trump.

Questo leggero vantaggio evidenzia il peso che gli elettori danno alla gestione dell’economia, un settore in cui Trump ha spesso rivendicato il suo successo durante il primo mandato. A livello di finanziamenti, questa sarà la campagna presidenziale più costosa nella storia americana, con una raccolta fondi totale di 3,8 miliardi di dollari. I democratici, grazie anche al supporto per Harris e alla popolarità di Biden, hanno raccolto 2,15 miliardi di dollari, superando i 1,68 miliardi dei gruppi pro-Trump. Harris ha inoltre investito maggiormente in pubblicità nei principali swing states, avendo a disposizione una somma residua di 261 milioni di dollari contro i 241 milioni di Trump. Noi di Wize riteniamo che Trump abbia ottime possibilità di vittoria, nonostante alcuni sondaggi indichino una leggera rimonta di Harris. Crediamo che molti media mainstream stiano spingendo una narrativa che presenta Harris come una candidata forte, ma riteniamo che questa immagine non rispecchi pienamente il clima reale. I dati storici e l’attuale fiducia degli elettori in Trump sulla questione economica indicano che l’ex presidente potrebbe essere favorito. Inoltre, l’andamento delle elezioni precedenti, in cui Trump ha sovraperformato rispetto ai sondaggi, suggerisce che la situazione attuale possa replicarsi anche quest’anno. Una possibile rielezione di Trump avrebbe ripercussioni significative sul settore della difesa, con effetti diretti sulle grandi aziende militari americane. Durante il suo primo mandato, Trump ha seguito una politica estera meno interventista rispetto ai suoi predecessori, puntando sulla riduzione della presenza militare americana in contesti esteri.
In particolare, Trump ha avviato il ritiro delle truppe da aree di conflitto come l’Iraq, la Siria e l’Afghanistan, ponendo l’accento su un approccio di “America First” che privilegia gli interessi interni rispetto agli interventi militari all’estero. Alcuni dati concreti dimostrano l’impatto di questa strategia: • Nel 2019, l’amministrazione Trump ha annunciato il ritiro di truppe dalla Siria, decisione che ha sorpreso molti analisti e che ha ridotto significativamente la presenza militare americana in Medio Oriente. • In Iraq, le truppe sono state ridotte da 5.200 a circa 3.000 unità nel 2020, e ulteriormente a 2.500 a inizio 2021. • In Afghanistan, Trump ha iniziato un graduale ritiro delle forze, che sono passate da 13.000 a meno di 5.000, culminando con l’accordo di Doha del 2020 tra gli Stati Uniti e i Talebani, mirato a porre fine alla guerra. Questo approccio ha avuto un impatto significativo sul settore della difesa. Aziende come Lockheed Martin, Raytheon e Northrop Grumman hanno registrato una crescita moderata sotto l’amministrazione Trump, in parte perché la riduzione dell’intervento militare ha limitato la necessità di nuovi equipaggiamenti pesanti e operazioni estese. Sebbene il budget della difesa sia aumentato da 606 miliardi di dollari nel 2017 a oltre 705 miliardi nel 2021, gran parte di queste risorse sono state destinate alla modernizzazione delle capacità difensive interne piuttosto che al sostegno di nuove missioni estere. Un settore come quello della difesa potrebbe reagire negativamente alla rielezione di Trump, che continua a essere percepito come poco incline a intraprendere nuovi conflitti. Le grandi aziende della difesa tendono a favorire politiche che prevedono un alto livello di impegno militare, e molte di esse hanno contribuito in modo significativo alle campagne democratiche. Una presidenza democratica, come quella potenziale di Harris, potrebbe portare a una maggiore attenzione alle minacce internazionali percepite e un ritorno a un impegno militare più esteso, portando potenzialmente a una crescita degli ordini di nuove attrezzature militari.