Sabato scorso, Pavel Durov, CEO e fondatore dell’app di messaggistica Telegram è stato arrestato dalle autorità francesi che gli hanno imputato dodici capi d’accusa. Secondo la procura di Parigi, Telegram non garantirebbe livelli adeguati di moderazione e non adotterebbe misure per reprimere il traffico di droga e la distribuzione di contenuti che coinvolgono minori sulla piattaforma. Gli inquirenti hanno riscontrato sulla piattaforma anche altri reati, come frode, cyberbullismo, criminalità organizzata e promozione del terrorismo.

Tra le accuse a carico del miliardario russo, che di recente aveva acquisito anche la cittadinanza francese, c’è anche l’essersi rifiutato di fornire alle autorità i dati richiesti o i documenti necessari per condurre e utilizzare le intercettazioni autorizzate dalla legge. 

L’agenzia di polizia francese Ofmin, specializzata nella prevenzione della violenza contro i minori e istituita lo scorso anno, ha sottolineato le carenze di Telegram nella lotta contro i crimini sessuali su minori, come evidenziato da Jean-Michel Bernigaud, segretario generale di Ofmin, in un post su LinkedIn. 

L’ufficio del procuratore di Parigi ha confermato che le indagini su Durov sono in corso, ma si è rifiutato di fornire ulteriori commenti. Domenica scorsa, il magistrato inquirente ha esteso la detenzione di Durov da 24 a 96 ore, durante le quali le autorità francesi hanno indagato su possibili fallimenti nella moderazione di Telegram che potrebbero aver facilitato attività illegali, inclusi terrorismo, traffico di droga, riciclaggio di denaro, frodi e sfruttamento infantile. 

Durov, soprannominato il “Mark Zuckerberg della Russia”, ha fondato il popolare social network russo VKontakte a San Pietroburgo nel 2007. Ha lasciato la Russia nel 2014 dopo aver rifiutato di conformarsi alle richieste di Mosca di accesso ai dati degli utenti ucraini che protestavano contro un’amministrazione filo-russa. Da allora, Telegram è cresciuta enormemente in popolarità, avvicinandosi al miliardo di utenti e diventando uno degli strumenti principali di comunicazione in zone di conflitto e crisi umanitarie come la guerra Russia-Ucraina e il conflitto Israele Hamas. 

Nel frattempo, l’ambasciata russa in Francia ha richiesto accesso consolare a Durov. L’ex presidente russo Dmitry Medvedev, ora commentatore di destra, ha osservato su Telegram che, nonostante i tentativi di Durov di essere un “cittadino del mondo”, per i suoi “comuni nemici” rimane sempre russo “imprevedibile e pericoloso”. L’arresto di Pavel Durov solleva non poche riflessioni sulla delicatezza del bilanciamento tra sicurezza e libertà di espressione nelle piattaforme digitali. Mentre le autorità spingono per una maggiore collaborazione e trasparenza da parte delle piattaforme come Telegram, emergono interrogativi significativi sulla privacy e l’anonimato degli utenti. Se Telegram dovesse cedere alle pressioni di condividere più liberamente informazioni con gli enti governativi, potrebbe verificarsi uno spostamento significativo nella cosiddetta finestra di Overton, ovvero nella gamma di politiche pubblicamente accettabili. Questo non solo ridefinirebbe i limiti della privacy online, ma potrebbe anche erodere la fiducia che gli utenti ripongono in un servizio che ha costruito la sua reputazione sull’essere una fortezza contro l’intrusione esterna. In un’era dove la sicurezza viene spesso scambiata per la sorveglianza, vale la pena chiedersi quanto valore diamo realmente all’anonimato e alla libertà di espressione su internet. Questa riflessione non è solo una questione di politiche e leggi, ma di principi fondamentali che definiscono il nostro rapporto con la tecnologia e, in ultima analisi, con noi stessi.

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