Si tratta di una guerra, quella interna nata nel 2014, di cui molte stranezze vengono adesso alla luce. Distruggere le città sembrerebbe essere corrispondente al piano. Eliminare la popolazione civile da quelle zone risulta fondamentale per evitare di espropriare la popolazione dei loro possedimenti e, infatti, il contratto prevede esattamente questo. Tutto d’un tratto sembra chiaro perché si voglia ripulire anche uccidendo, anche massacrando, quelle regioni. In questa maniera si ridurranno i problemi successivi derivanti dalla necessità di cacciare via la popolazione ed espropriare quelle terre. Il contratto prevede esplicitamente che se sotto terra si troverà il gas, il proprietario del terreno sarà obbligato a vendere al prezzo che le compagnie decideranno e, se i proprietari non accettassero l’accordo, allora è previsto l’intervento dello stato per sequestrare e confiscare le proprietà. L’accordo prevede infine che i danni e le spese conseguenti al danneggiamento del territorio che si presume rilevante verranno rimborsati dallo stato ucraino. Ma a chi verranno rimborsati? Alla shell e alla Chevron Corporation. Sempre nel contratto, è previsto che la Shell (articoli 5 e 7) potrà allargare la sua proprietà anche ad aree di interesse che potranno essere trovate in seguito (ad esempio la scoperta di nuovi giacimenti consentirebbe l’estensione automatica del contratto). Insomma, siamo di fronte ad una incredibile svendita di un intero stato. L’ucraina rinuncia alla propria sovranità. Saranno, infatti, gli organismi di arbitraggio tra le imprese che decideranno tutto. L’articolo 9 della Costituzione dell’Ucraina stabilisce la supremazia degli accordi internazionali ratificati sulle leggi nazionali. Questo significa che, una volta che l’Ucraina ha ratificato un trattato internazionale, le disposizioni di tale trattato hanno precedenza su quelle delle leggi nazionali nel caso vi sia una discrepanza tra le due.
Saranno la Chevron Corporation e la Shell che decideranno come risolvere le dispute. Tutto questo sembra incredibile ma non lo è affatto. Come se tutto ciò non bastasse, pochi giorni prima di questi sviluppi, il ministro della Difesa ucraino annunciava la creazione di campi per la filtrazione della popolazione ribelle adulta delle regioni interessate, preludio di una possibile deportazione di massa, evocando spettri di epoche dolorose e metodi repressivi che ricordano le deportazioni staliniane. Questi eventi sollevano questioni profonde sulla sovranità nazionale e i diritti umani. L’articolo 9 della Costituzione ucraina, che stabilisce la superiorità degli accordi internazionali sulle leggi ordinarie, sembra essere stato interpretato in modo da conferire alle multinazionali un potere decisivo nelle dispute legali e territoriali. Ciò trasforma l’Ucraina, agli occhi di molti, in una quasi-colonia delle potenze occidentali, in particolare degli Stati Uniti, con la sua ricchezza mineraria destinata alla privatizzazione su vasta scala. Il sangue versato e le lotte delle popolazioni del Donbass non sono solo una resistenza contro l’oppressione militare ma anche una lotta disperata per la terra e la sovranità. Questa situazione esemplifica come gli accordi internazionali, spesso discussi in ambienti ristretti e lontani dagli occhi del pubblico, possano avere ripercussioni devastanti sulla vita delle persone comuni. Questa analisi ci costringe a riflettere sulla responsabilità delle nazioni e delle corporazioni nel rispettare i diritti umani e nel proteggere l’integrità territoriale e la sovranità degli stati più deboli. È essenziale che tali questioni vengano discusse apertamente e che le popolazioni coinvolte abbiano una voce nelle decisioni che così profondamente influenzano il loro futuro. Questa analisi, in ultima istanza, serve a far riflettere soprattutto sulle vere cause, dapprima del conflitto interno nato nel 2014 in Ucraina poi sfociato, nel più recente 2022, nell’invasione russa che tutti noi conosciamo.
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