Perché investire in asset reali illiquidi?

Nell’articolo di oggi cercheremo di capire quali vantaggi e quali rischi comporti l’investimento in asset reali illiquidi. Stando al Global Investor Study 2023 di Schroders, diversificazione e performance sono le due ragioni principali che spingono sempre più italiani a puntare sui mercati privati. Dallo studio emerge come l’aumento degli strumenti e l’incertezza sui mercati tradizionali sia allargando il mondo dei private asset oltre i confini dagli operatori istituzionali in favore di un numero crescente di investitori individuali. L’indagine, che ha coinvolto oltre 23mila persone in 33 Paesi, mostra come metà del campione consideri gli investimenti nei mercati privati un importante strumento di diversificazione e un modo per migliorare la performance del portafoglio. Gli intervistati italiani hanno ammesso che prenderebbero in considerazione la possibilità di investire in media il 12,6% del proprio patrimonio nell’asset class mentre i risparmiatori globali si spingono al 16,4%. Due percentuali che salgono al 18,3% e al 23,1% nel caso in cui a venire interpellati siano interlocutori “esperti”.

Quali segmenti sono i preferiti? 

Più nel dettaglio, quasi un italiano su tre (32%) si dimostra attratto soprattutto dagli investimenti in infrastrutture. Una percentuale simile a livello globale (30%) preferisce invece il private equity, asset class che incontra il favore di appena un quinto dei risparmiatori nel nostro Paese. Fanno eccezione gli operatori esperti, che hanno come priorità i private markets nel 38% dei casi. L’immobiliare è invece la seconda categoria più desiderata sia da noi che nel resto del mondo.

Fattori determinanti la scelta della percentuale e ostacoli.

Se da un lato gli investitori ricercano in questa asset class una minore volatilità e delle performance più interessanti, dall’altro una scarsa competenza e conoscenza di questo genere di strumenti, unita al fattore di “non-liquidità” tendono a scoraggiare gli investitori. Lo studio ricorda, infatti, come negli ultimi anni, con il crescere dell’interesse, le autorità di regolamentazione e gli asset manager abbiano lavorato attivamente alla democratizzazione dei mercati privati. Sforzo che ha portato al lancio di prodotti come i Ltaf nel Regno Unito o gli Eltif in Europa. Eppure, circa due terzi degli investitori temono ancora la scarsa trasparenza di questa classe di attivi. E mostrano di averne una conoscenza limitata, segnalando quindi la necessita di una maggiore formazione per sostenere la crescita della categoria. Altro freno, secondo lo studio, è poi rappresentato dalla natura illiquida degli strumenti e dalla necessità di detenerli per un lungo periodo: per quasi due terzi degli investitori, sia da noi che a livello globale, si tratta infatti di un fattore chiave. Pesano, infine, anche i costi e la soglia minima di investimento. Nils Rode di Schroders Capital e Luca Tenani di Schroders Italy sottolineano l’importanza dell’ampliamento delle opzioni di investimento e l’urgenza di migliorare la familiarità e la conoscenza di questi prodotti. L’introduzione di nuovi strumenti come gli Eltif 2.0 è vista come un passo positivo verso una maggiore accessibilità per gli investitori non professionali. Sempre secondo lo studio condotto da Schroders, la ricerca di performance più elevate e un universo di investimento più ampio sono i fattori più attrattivi tra gli investitori italiani, con il 45% dei clienti attratto da una performance superiore e il 52% che vede in questi asset un accesso a più opportunità. A livello globale, questi fattori raccolgono il 56% e il 51% delle preferenze rispettivamente. Gli investimenti in infrastrutture e private equity emergono come le categorie più desiderate, con quasi un italiano su tre (32%) attratto dalle infrastrutture, mentre a livello globale, il private equity è la scelta preferita del 30% degli investitori. Un’ulteriore prospettiva è fornita dalla Global Private Markets Survey di BlackRock Alternatives, che indica come il 72% degli investitori istituzionali globali preveda di incrementare le proprie allocazioni in private equity. La generazione di reddito è un fattore trainante, con il 82% degli intervistati che identifica questa come la chiave nelle loro considerazioni di allocazione. L’interesse per il credito privato è in aumento, con oltre la metà degli investitori globali che prevedono di incrementare gli investimenti in questo settore.

Il paradosso degli investitori italiani che prediligono la liquidità.

Un sondaggio realizzato da Pictet Asset Management in collaborazione con Finer Finance Explorer, ha messo alcune tendenze tutte italiane. Interrogati sulle loro preferenze d’investimento, il 41% di un campione rappresentativo di 5.000 italiani, composto sia da investitori che da non investitori, ha espresso la volontà di mantenere i propri risparmi in forma liquida. Questa scelta, influenzata dalla necessità di fronteggiare imprevisti in un contesto economico caratterizzato da inflazione elevata, alti tassi d’interesse e rallentamento economico, si scontra con l’urgenza di valorizzare il capitale per il futuro. Attualmente, la preferenza per la liquidità varia significativamente tra gli italiani. La percentuale di coloro che scelgono di rimanere liquidi oscilla dal 26% tra i clienti del private banking fino al 65% tra gli studenti. Il mattone, ovvero gli investimenti immobiliari, attira il 27% degli italiani, un interesse consistente e uniforme tra diverse tipologie di risparmiatori e portafogli. Quanto alle obbligazioni, il 16% del campione le considera un’opzione d’investimento futura, con una predilezione maggiore (27%) tra la clientela affluent (con un patrimonio investibile tra 50 e 500 mila euro) e minore (7%) tra non investitori e studenti. La situazione è più critica per le azioni: solo il 6% degli italiani intende investire in società quotate, con un netto calo a zero percento tra il mass market (con 10 a 50 mila euro investibili) e un picco del 15% tra i clienti gestiti dai private banker. Il rapporto mette in evidenza un paradosso tra i giovani investitori: nonostante le azioni rappresentino un investimento a lungo termine, ideale per il loro futuro, sono spesso trascurate a favore di opzioni più conservative. Infatti, solo il 6% degli under 40 ha scelto l’equity, rispetto al 12% tra i clienti più anziani, ovvero gli over 55. L’investimento in asset reali illiquidi, dunque, presenta opportunità significative di rendimento e diversificazione. Tuttavia, la comprensione limitata, l’illiquidità e la trasparenza sono sfide da affrontare. Gli investitori italiani tendono a preferire la liquidità e a sottopesare questo genere di opportunità all’interno dei loro portafogli. Una tendenza che sottolinea la necessità di una maggiore educazione finanziaria e di prodotti di investimento più accessibili e trasparenti? O semplicemente l’essere restii al cambiamento da parte degli investitori tricolore? Tu cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti!